Possiamo davvero guardare alle cose spagnole di queste settimane e leggerle in rapporto al blocco della situazione politica italiana? Le effervescenze sociali che trascinano Podemos in testa ai sondaggi hanno a che fare con l’ opposizione parlamentare autoreferenziale e scenografica di casa nostra che asseconda la delega e svuota la partecipazione reale? La risposta è semplice: sì.
Per afferrare nessi e cogliere diversità bisogna partire, come spesso capita, dai paradossi. Non si tratta di affrontare le differenze tra Podemos (e in parte anche Syriza, anche se quella è un’altra storia) e Movimento 5 Stelle: si tratta piuttosto di prendere le mosse dalle molte e oggettive analogie. Perché le affinità ci sono, evidenti e impossibili da negare.
Tra Podemos e M5S ci sono somiglianze che presuppongono differenze sostanziali. Le elenco rapidamente facendo riferimento soprattutto a due testi utili e consigliati: il reportage politico di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena uscito per Alegre e l’intervista che Luca Cafagna e Tiziano Trobia hanno fatto a Íñigo Errejón per DinamoPress.
La doppia crisi. Sia Podemos che il Movimento 5 Stelle traggono forza e argomentazioni dalla fase storica che attraversiamo: ne descrivono tratti salienti, rischi e potenzialità. Si muovono sul crinale delle ambivalenze, spesso (è il caso del grillismo) facendo dell’ambiguità politica e della capacità di essere “sia di destra che di sinistra”, di mettere in un calderone le contraddizioni e di trasformarle in un pappone indistinguibile che contiene tutto e il suo contrario. O meglio, di trasmettere l’immagine che sogna ogni addetto al marketing che consente al consumatore in cerca di soddisfazione di scorgervi proprio ciò che vuole vedere, sottovalutando il resto. Come per il caso spagnolo, molte delle questioni sollevate in Italia dal M5S hanno a che fare, seppure in senso perverso, con gli spazi politici aperti dalla crisi economica e dall’agonia della rappresentanza. Esattamente per questo motivo, per chi scrive la critica serrata al grillismo era ed è soprattutto un modo di porre domande scomode soprattutto a sinistra. Una maniera di porsi il problema dell’organizzazione politica dal basso, senza illusioni facili o collateralismi ma coi piedi ben piantati nello scenario politico italiano. Una mossa per leggere la deriva di quella parte consistente di generazione perduta che drammaticamente e in assenza di speranze, si rifugia sotto l’appeal mediatico del serial leader di turno. Questo sul M5S (e su Podemos), infine, è ancora oggi un discorso necessario a non rinchiudersi nel ghetto, proprio adesso che i partiti rivelano anche al cittadino meno avveduto la loro inconsistenza trasformandosi in gruppi di potere e strutture carismatiche. Un raffronto utile a sintonizzarsi e interloquire, con schiettezza e spirito d’iniziativa, con quel numero ancora consistente di persone che ancora oggi intende votare per Grillo e i suoi.
La Casta. La retorica contro la corruzione di Podemos non conduce, come nel caso dei grillini, alle pulsioni legge-e-ordine o agli automatismi cripto-liberisti di chi sventola il curriculum rivendicando “meritocrazia”. Il concetto di Casta da noi è finito sulla bocca dell’uomo comune grazie alle campagne serrate dei giornali mainstream. Solo in seguito se n’è appropriato Grillo. La stessa parola viene piegata da Podemos alla critica della oligarchia finanziaria e del sistema economico. Quando costruiscono il frame “Basso vs. Alto”, ritenuto più efficace di “Sinistra vs. Destra”, dalle parti di Podemos sono ben coscienti di maneggiare il “populismo”, lo fa utilizzando l’armamentario postgramsciano dell’argentino Ernesto Laclau: il populismo come forma radicale (e “progressista”, dice Pablo Iglesias) dell’autonomia del politico. Un progetto di egemonia culturale e non di adesione al senso comune pre-esistente. Invece, la lotta alla Casta dei grillni dopo due anni di affollata presenza parlamentare oscilla dal luogocomunismo spinto (“È tutto un magna magna”) al tatticismo sfrenato (la spassosissima candidatura di Prodi e Bersani alle Quirinarie).
La Nazione. I dirigenti di Podemos hanno sciacquato i panni nell’Oceano che divide lo stato spagnolo dall’America Latina dei tanti e diversi governi di sinistra. Ciò consente loro di cimentarsi con la categoria urticante di “sovranità nazionale”. In Europa lo Stato Nazione non ha mai significato “liberazione nazionale” come dalle parti di Bolivar e Sandino. Piuttosto, la Nazione ha coinciso coi veleni del nazionalismo, con le trincee di sangue delle guerre mondiali e – ai giorni nostri – con le pulsioni reazionarie degli euroscettici Le Pen e Farage (vedi la posizione NoEuro di Grillo e l’inguardabile, oltre che imposta, collocazione europea). Quelli di Podemos ne sono ovviamente al corrente, oltretutto si muovono in un paese che conosce diverse spinte autonomiste spesso e volentieri radicate nello spirito antifranchista. Proprio per questo giocano sul doppio livello dell’Europa e della Spagna. È un’operazione problematica, delicata come un trapianto di cuore, che tuttavia viene fatta con molte cautele, senza accarezzare la pancia dei sentimenti xenofobi (Podemos, al contrario del M5S sposa le rivendicazioni dei migranti) e rilanciando sul terreno della strategia continentale. Adesso scopriamo che i grillini intendono “fare asse” con Tsipras e Iglesias in funzione anti-Troika. È un motivo in più a spronarli a scendere dalle orride alleanze nazionaliste ed euroscettiche, per stanarli e farli uscire dall’ambiguità.
La Rete e la Piazza. Sia Podemos che il M5S usano con disinvoltura lo spazio virtuale, attribuendo alla Rete dimensione organizzativa, e si richiamano alle “piazze” come dimensione immaginaria. Diamo qui per assodato la (diciamo così) disabitudine dei grillini alla democrazia e il bisogno di affidarsi al fantomatico “staff” di Casaleggio e Grillo per le faccende chiave che disciplinano la loro organizzazione: in quel caso il potere dall’alto si esercita esattamente attraverso lo strumento che si vorrebbe come strutturalmente preposto all’orizzontalità, cioè la Rete. La retorica del net-liberismo e dei monopolisti della Silicon Valley ha spianato la strada al comando digitale all’italiana del M5S. Da ciò deriva l’instupidimento dei contenuti e soprattutto l’allergia di Grillo per le piazze che non siano audience. Ciò che qui ci interessa sottolineare è che Podemos ha in parte ereditato la capacità del movimento del 15M (gli “indignados” volgarmente detti) di coniugare la Rete alla Piazza, i tempi istantanei della comunicazione digitale a quelli meno rapidi della partecipazione reale e dell’organizzazione sul territorio. Anche questi ultimi sono passaggi pregni di difficoltà e tutt’altro che compiuti: ecco perché Podemos ha scelto di non partecipare alle elezioni amministrative di giugno ma, al contrario, di appoggiare candidati e liste diretta espressione della società civile e dei movimenti. Una strategia no logo che è l’opposto della brandizzazione della politica grillina. In quel caso, il primo obiettivo è diffondere il logo dell’azienda M5S in franchising. Poi vengono i nomi dei candidati e la loro storia dentro conflitti e sperimentazioni concrete. E infatti quel logo è ambitissimo, genera lotte fratricide e scontri che attraversano la compagine grillina, a colpi di scomuniche e ricorsi legali, in tutto il paese.
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